Oggi è sempre meno importante produrre una canzone intera, sempre più importante catturare l’attenzione in pochi secondi, con una o due frasi da condividere sui social. È per questo che i testi sono sempre meno racconti complessi, o è una tendenza pregressa? Spoiler: la seconda. Ma non è tanto grave quanto sembra.
Nell’era digitale e dei social media, la musica ha subito un’evoluzione profonda, tanto da mettere in discussione le convenzioni tradizionali della produzione musicale e dei testi delle canzoni. L’attenzione, che viene sempre più concentrata su frammenti delle canzoni, ha portato alla nascita di un nuovo paradigma creativo: la frammentazione musicale. Il progressivo abbassamento dell’importanza che i testi complessi ricoprono nelle canzoni è un fenomeno iniziato tanto tempo fa, evolutosi su diversi media. E, sebbene inizialmente possa sembrare preoccupante, è un fenomeno del tutto naturale.
Nell’epoca dei social media, la capacità di catturare l’attenzione in pochi secondi è diventata cruciale. Da quando abbiamo conosciuto applicazioni come Vine, Musical.ly e, più recentemente, i reel di Instagram e TikTok il linguaggio della rete è diventato sempre più breve. Qui le canzoni vengono utilizzate come colonne sonore per pochi secondi di video o accompagnamento a una foto. Anche altre forme di cultura hanno subito un cambiamento simile: ad esempio le poesie, che da testi di lunghezze variabili, a seconda di correnti e periodi storici, sono passate a vivere una seconda giovinezza negli account degli instapoet sotto forma di poesie brevissime a versi liberi e sciolti, con una forte attenzione all’aspetto visivo e l’ambizione di raggiungere più persone possibili. Spesso si sente dire che è “colpa di internet, dei social” il motivo che ha portato a un cambiamento nell’approccio culturale della produzione musicale: il bramare l’attenzione di più ascoltatori possibili in pochi istanti. Per questo viene data un’importanza esponenziale al ritornello, in inglese “hook”, amo: la parte di canzone che cattura l’ascoltatore come fosse un pesce. Questo squilibrio di valori ha portato alla composizione di brani con ritornelli accattivanti e memorabili, sempre più a discapito di strutture più complesse. Che cosa ha permesso quindi a una canzone di due minuti dove viene ripetuto più di 80 volte un ritornello, il soprannome di un giocatore di basket, di accumulare centinaia di milioni di stream e la certificazione di disco di platino?
Non c’è una risposta unica, ovviamente. Ma di certo questa musica “solo ritornello”, criticata anche da artisti e opinionisti come fosse una novità che chissà dove farà naufragare l’umanità, è un ritorno alle origini: esistono interi generi che si basano su brevità, semplicità e ripetizione.
Uno che spicca su tutti è la musica religiosa. Le liturgie sono state forme importantissime di coesione sociale e di condivisione delle conoscenze. In questo ambiente, gli accompagnamenti melodici hanno subito una complessa evoluzione. Il processo è iniziato addirittura nel 773, quando all’epoca del Sacro Romano Impero è stato unificato il rito che oggi conosciamo come gregoriano. Ovviamente il rito canonico era da considerarsi una sintesi perfetta di tutte le articolate riflessioni religiose, quindi era giusta. Non c’era niente da correggere nella sostanza, quindi le persone hanno iniziato a cambiare la forma: così nascono i tropi, degli inserti melodici che senza alterare il significato permettevano di aggiungere delle decorazioni canore.
Col passare del tempo, questi sono diventati sempre più popolari e hanno iniziato ad essere ripetuti più volte nel corso delle cerimonie. Ripetuti, come ritornelli. La ripetizione facilita la semplificazione e aumenta la possibilità di ricordarsi qualcosa, come dimostra il principio di familiarità. La liturgia doveva essere semplice e ripetitiva per poter essere ricordata e condivisa, e cosa c’è di diverso se non il contesto? Il pop alla fine è un’abbreviazione di “popolare”, vuole essere ricordata e condivisa dal popolo intero. E il popolo cambia gusti, sceglie ogni qualche anno un “nuovo pop”, ma è normale che sia trap sia reggaeton, cerchino di rimanere impresse nella memoria collettiva, ripetendo un ritornello molte volte. Chissà, la sfida per la musica potrebbe essere quella di riuscire a comunicare messaggi complessi con giochi di parole, metafore e suggestioni di poche parole, per far ascoltare meglio lo spettatore e infondere una nuova vita al processo creativo.
Quando la liturgia del popolo odierno vedrà un nuovo capovolgimento del rapporto tra testo e musica, quando il testo tornerà ad essere l’elemento fondamentale, incorniciato e amplificato dalla musica?