L’ultimo Spider-Man, e il Multiverso come occasione per riscrivere la propria storia

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Dopo l’inaspettato successo di Spider-Man: Into the Spider-Verse, il Ragno Verso affronta un’ulteriore espansione. Spider-Man: Across the Spider-Verse mette in discussione l’esistenza stessa della maschera di Spider-Man al cinema.

Nel 2018, di Spider-Man se ne contavano già ben tre. Nel corso dei decenni, diversi Peter Parker hanno accompagnato intere generazioni che non sembravano stancarsi mai di vedere lo zio Ben morire sul grande schermo: forse c’è un’insolita sensazione di sicurezza e familiarità legata alle tragiche vicende dell’Arrampicamuri, la certezza di assistere ad un lieto fine, seppur sofferto. 

Nel 2019, Spider-Man: Into the Spider-Verse entra nel gioco per cambiarne le regole. Secondo film non Disney o Pixar del decennio a vincere il titolo di miglior film d’animazione agli Oscar – non accadeva dal 2011 con RangoInto the Spider-verse presenta come nuovo protagonista un personaggio noto ai lettori dei fumetti, Miles Morales. Al suo fianco, un Peter Parker in preda a crisi esistenziali, Gwen Stacy, la Spider-Woman di una realtà alternativa, e un team d’azione insolito che si compone di tanti piccoli pezzi del Ragno Verso. Lo Spider-Verse era una realtà già familiare agli appassionati ed ammicca al multiverso Marvel che, in quel periodo, combatteva contro il pericolo di una disastrosa fine.  Miles Morales è l’eroe di turno che viene morso dal ragno radioattivo, ma è anche un ragazzino di Brooklyn che sta trovando il proprio posto nel mondo. Into the Spider-Verse alla sua uscita coglie il pubblico alla sprovvista con l’audacia con cui lascia Miles scontrarsi con il mondo e con le grandi responsabilità che derivano dal suo grande potere. I registi Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman riescono nell’intento di rendere Spider-Man interessante e non semplicemente familiare: Miles richiama gli ideali con i quali Peter Parker era nato dalle matite di Stan Lee e Steve Ditko e assume le sembianze di un ragazzo nel quale è possibile rivedersi. Into the Spider-Verse, insomma, riesce a rompere gli schemi dei film d’animazione mainstream e porta, in tutti i sensi, le pagine dei fumetti dell’Uomo Ragno sullo schermo: i colori sono vibranti, i rumori sono accompagnati dalle onomatopee, e Spider-Man è più vivo che mai. Con l’introduzione del concetto di Ragno Verso, si aprono infinite possibilità: l’esperimento è riuscito, non bastava che replicarlo. Se possibile, superarlo. 

Spider-Man: Across the Spider-Verse non vuole infatti essere una replica del primo e ce lo dice subito, aprendo il film dal punto di vista di Spider-Gwen. L’universo di Gwen si presenta visivamente speculare alla Brooklyn di Miles, costellata di graffiti, caotica e affascinante: la ragazza vive in un mondo che ricorda le tecniche ad acquerello, in cui i colori sono simbolici dello stato emotivo delle persone che lo abitano: un universo che si presenta come un limbo che Gwen vive dopo aver assistito alla morte del suo Peter Parker. L’entrata in scena di un Avvoltoio rinascimentale che ricorda le macchine volanti di Leonardo da Vinci rompe le barriere tra universi. Altri e nuovi Spider-Men e Spider-Women vengono presentati al pubblico: invece di faticare e trovare una continuità con ciò che è stato già detto e ridetto su Spider-Man, Across the Spider-Verse tesse una tela che giustifica le contraddizioni e mette in discussione la struttura stessa della storia canonica, avvalendosi della possibilità di far convergere sullo schermo dei tratti stilistici diversi. In questo modo possiamo fare la conoscenza di personaggi come Spider-Man India, dai colori sgargianti e la vita degna di un protagonista da film di Bollywood, o Spider Punk che, nella sua vera natura anticonformista, non si piega mai alle regole dell’universo in cui agisce ma rimane fedele alla sua estetica da copertina di un album dei Sex Pistols. 

A differenza del primo, godibilissimo, film, Across the Spider-Verse pecca di problemi di pacing non indifferenti. In compenso, lo storytelling visivo messo in atto è attualmente senza eguali nel panorama dell’animazione e si riconferma lo standard da seguire se si vuole parlare di multiverso. 

La differenza principale che lo differenzia dal film che lo precede è lo stato del panorama cinematografico che lo ha accolto, ormai dominato dalle narrazioni multiversiche. È possibile sostenere che Spider-Man: Into the Spider-Verse, e il successo che ne è seguito, abbia dato il via a una stagione di sfrenata libertà nel trattamento del concetto degli universi paralleli, distaccandosi, se non del tutto, dalle trame del Marvel Cinematic Universe. Across the Spider-Verse esce in sala in un mondo post Everything Everywhere All At Once: dopo aver assistito ad una fase di rodaggio dei film sul multiverso, non resta che divertirci. È inevitabile, però, chiedersi se il cinema sia arrivato ad un punto di saturazione e risanamento tale da sentirsi costretto a riciclare continuamente il tropo del multiverso nella speranza di poter distrarre gli spettatori dalla mancanza di sostanza. Se questa obiezione può risultare valida per l’universo espanso dei supereroi Disney, la stessa cosa non può essere detta di Into the Spider-Verse e il premiatissimo film di Daniel Kwan e Daniel Scheinert. Cos’è il saltare tra un universo alternativo all’altro se non una ricerca della propria identità?

Non può che essere affidato all’animazione il compito di mettere in questione la validità del concetto del multiverso. Il viaggio di scoperta che Miles Morales compie nel primo film che lo vede protagonista porta in sé il messaggio che chiunque può indossare la maschera di Spider-Man: il seguito si interroga sull’identità di questa stessa maschera, indugiando in un meta-commentario sull’eroe simbolo di New York, facendosi coraggioso portavoce di una critica al retelling compulsivo che Hollywood ha fatto della storia di Peter Parker. Across the Spider-Verse osa chiedersi quanto è possibile rompere la barriera del canon e si chiede a che livello una storia appartiene alla persona che la vive.

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