Il nuovo film sci-fi di Gareth Edwards, regista di Godzilla e Rogue One, vuole mettere in discussione il nostro rapporto con le intelligenze artificiali, ma finisce per essere un mal riuscito collage di rimandi ai colossal della fantascienza.
15 anni dopo l’esplosione di una bomba atomica su Los Angeles causata dalle Intelligenze Artificiali, i governi Occidentali decidono di mettere al bando l’IA e di dichiarare guerra agli stati Orientali che, invece, continuano a sviluppare queste tecnologie e permettono ai robot di convivere con gli esseri umani. Joshua (John David Washington) è un ex agente delle forze speciali americane e uno dei pochi sopravvissuti ad un attacco letale di Nomad, arma di distruzione americana, avvenuto durante la sua missione sotto copertura in Asia. Joshua è l’unico in grado di condurre al nascondiglio di Nimrata, il Creatore, l’architetto dell’avanzata IA. Per questo motivo, viene reclutato con l’inganno per una spedizione che mira a scovare il nascondiglio del Creatore e della sua arma che, si dice, porrà fine alla guerra. Ciò che spinge Joshua è, in realtà, una ritrovata speranza di ricongiungersi con Maya (Gemma Chan), la moglie che credeva defunta. Arrivato in Asia, Joshua scopre che l’arma letale ha le sembianze di una bambina (Madeleine Yuna Voyles): nelle sue mani, risiede il destino degli umani e delle IA.
The Creator appare come una luce in fondo al tunnel di cinecomics, sequel e reboot che sembra non avere fine. In un periodo storico in cui i film originali sono più unici che rari, nello sci-fi diretto da Gareth Edwards viene riposta la speranza di rinascita per il cinema. Anche il concept di base, la relazione tra uomo e IA, sembra parlare contemporaneamente ad un pubblico nostalgico della fantascienza dal gusto cyberpunk (Blade Runner, Terminator, Akira sono chiare fonte di ispirazione), e alla curiosità che nutriamo per il mercato delle intelligenze artificiali. La fantascienza, sia nel contesto letterario che in quello cinematografico, non si è mai posta come portatrice di verità oscure dal futuro, né ha mai avuto le pretese di veggenza; è, piuttosto, una lente d’ingrandimento su fenomeni sociali del nostro presente, un’interpretazione dei tempi che viviamo. Purtroppo, The Creator non si mostra capace di rappresentare sullo schermo i timori derivanti dalla rapidissima evoluzione delle IA e la paura che le intelligenze artificiali possano sostituirci, cadendo in territori narrativi relegati al mercato dell’intrattenimento di 30 anni fa.
Il prodotto è confezionato benissimo: Gareth Edwards ha iniziato la sua carriera nel mondo del cinema come artista degli effetti speciali e le sue conoscenze pregresse hanno reso possibile un approccio non convenzionale alla realizzazione del film, facendo intervenire gli scenografi solo alla fine delle riprese, in fase di post-produzione. Questo, e la flessibilità dei modi di ripresa impiegati dalla troupe, hanno donato al film una patina che potremmo definire di realismo magico ma in chiave distopica. The Creator non riesce, però, a dirci qualcosa in più sulle IA. Non ci è dato sapere molto su questa nuova società ibrida a parte ciò che viene spiegato dal montaggio d’apertura dal gusto retrò. Ciò che sappiamo è che le IA possono avere sembianze umane, possono essere amate dagli umani e possono, a loro volta, amare. Lo spunto di riflessione sulla nostra società sempre più automatizzata lascia piede ad una narrativa già vista sul conflitto tra uomo e tecnologia: Occidente contro Oriente.
Il problema si infittisce quando la retorica “anti-guerra” che sembra additare gli americani come antagonisti della storia servendosi (è importante sottolineare che qui non si parla di semplice ispirazione) delle immagini dei crimini di guerra compiuti in Vietnam. In un maldestro tentativo di far apparire insensata la violenta missione degli Stati Uniti contro le IA, The Creator cade nelle trite e ritrite tematiche tecno-orientalistiche: il progresso e la scienza servono solo se in mano agli Occidentali. La Nuova Asia di questo mondo futuristico appare come una popolazione talmente avanzata e aperta verso gli IA da aver perso la propria umanità; le immagini di questo Oriente futuristico in cui gli aspetti spirituali, religiosi e tradizionali sembrano coesistere in armonia con le IA non ha alcuna profondità. Il concetto di Nuova Asia e i personaggi orientali del film rappresentano a pieno il concetto “style over substance”, lo stile rispetto alla sostanza, ed è questo, forse, l’aspetto più deludente di The Creator.
Vedere un film originale, di tanto in tanto, farsi strada tra titoli derivati da opere già esistenti è un qualcosa per cui possiamo gioire. Non possiamo, però, avere fiducia su quello che questa fantascienza moderna ha da dirci: The Creator non ha saputo cogliere l’opportunità di farci capire che rapporto abbiamo con le intelligenze artificiali.