The Last of Us: l’apocalisse tra game e serialità

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La serie di giochi The Last of Us, sviluppata da da Naughty Dog in esclusiva per Playstation, è una delle saghe videoludiche più acclamate degli ultimi anni. Sia l’impianto visivo del gioco, sia soprattutto quello narrativo hanno costituito un passaggio fondamentale dell’evoluzione del gaming in una direzione consapevolmente matura. La caratteristica più innovativa della trama di The Last of Us (primo capitolo nel 2013, secondo nel 2020) è la complessità dei temi trattati, che – al di là della cupezza e del nichilismo di fondo, già visto in altri titoli giustamente acclamati – si annodano intorno a questioni sostanziali come l’incomprimibilità del lutto, la responsabilità delle generazioni fino a – nel capitolo 2 – questioni di genere e di diversity estremamente delicate.

HBO ha acquisito i  diritti del gioco (scritto e ideato da Neil Druckmann, Bruce Straley) per farne una serie televisiva che è diventata da subito una delle produzioni più attese degli ultimi anni, sancendo, di fatto, in modo definitivo il già evidente rapporto di mutua influenza tra il mondo videoludico e quello dell’intrattenimento cinematografico e televisivo. Un’influenza che si riverbera sia sul piano degli impianti narrativi, sia su quello – come avremo modo di vedere – delle sovrapposizioni linguistiche.

La serie di The Last of Us ha vissuto sin dalle prime fasi di produzione un’esistenza travagliata.

La scelta del regista del pilot ha mostrato da subito le ambizioni artistiche e in termini di originalità della produzione HBO. È stato infatti designato il russo Kantemir Balagov, abituè di Cannes, dove ha presentato gli splendidi e autorialissimi Beanpole e Tesnota. Balagov avrebbe dovuto dirigere quattro episodi incluso l’episodio pilota, ma ha lasciato il progetto dopo poco più di sei mesi a causa di alcune divergenze creative, e nel pilot che abbiamo potuto ammirare lunedì scorso è rimasto – a quanto pare – ben poco di quanto girato dall’autore russo.

Detto questo, il lavoro di riadattamento svolto da Craig Mazin, celebre per la miniserie Chernobyl (2019), è eccellente e speriamo sia allo stesso livello negli altri 5 episodi che ha diretto.

Nel primo episodio Mazin racconta due realtà quasi scollegate, unite dalla figura del co-protagonista Joel Miller (Pedro Pascal).

Inizialmente in un mondo ordinario, fino allo scoppio della pandemia, viene raccontata la sua vita attraverso gli occhi di sua figlia Sarah (Nico Parker). La figura della figlia è importante nell’evoluzione del personaggio di Joel e nella relazione che questo instaura con Ellie Williams (Bella Ramsey).

Il collega, fratello e grande amico di Joel, Tommy Miller (Gabriel Luna), è un tipico uomo medio della città di Houston e l’attore di origini messicane che l’ha interpretato è nato nella stessa città. Questo l’ha aiutato a immedesimarsi in un personaggio che, per quanto testardo, ha buoni scopi e nobili obiettivi.

Per chi ha seguito o giocato ai titoli dei videogiochi di The Last of Us, la trama non è un segreto. Craig Mazin ha detto che ci saranno delle “piccole novità coerenti e sensate”, ma il videogioco ideato da Neil Druckmann ha ampiamente spoilerato la storia, se così possiamo dire. Resta comunque affascinante vedere come un linguaggio tipico del mondo dei videogiochi si rifletta nelle scelte di direzione dell’episodio.

In questa storia, uno dei temi principali è quello del viaggio inteso come evoluzione. Un’evoluzione che influenzerà principalmente il rapporto che verrà instaurato tra Joel ed Ellie, che di fronte a difficoltà sempre crescenti dovranno trovare un modo per sopravvivere.

La domanda più grande posta dalla storia sembra essere intoccata nei due media: “Come possiamo evitare di diventare mostri quando le nostre risorse sono limitate?”, una domanda a cui certamente possiamo dare risposte diverse dopo l’esperienza comune della pandemia da Covid-19.

La familiarità, seppur in misura minore, con un confinamento che riduce la possibilità di aggirarci per le città che di solito abitiamo, crea una strana sensazione se guardata con questo significato in testa.

La serie, in conclusione, vuole raccontare una storia con un linguaggio realistico che, soprattutto dopo gli accadimenti recenti può coinvolgere emotivamente anche i non appassionati della serie di videogiochi.

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